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rivelati per esteso (salvo poi, se lo si nega, quel consenso, sentirsi dire che non si può accedere ad un dato servizio, e già questo è un bel fatto!). Se firmiamo un documento c’è sicuramente – tra milioni di parole – una richiesta di consenso riguardante la privacy. Esiste l’Autorità deputata a salvaguardare la nostra privacy e ci sono le ammende per chi la violi. Ma noi, fatto salvo tutto ciò, a questa nostra privacy ci teniamo veramente? A me sembra che mai come di questi tempi la privacy sia parola senza una sostanza e che, anche se evoca un atteggiamento “inglese” (la parola infatti è stata importata da noi da un mondo - quello anglosassone - che avrebbe il mito della privacy) forse mentalmente la associamo a qualcosa di antico, ovvero superato o superabile.

Questa faccenda della privacy mi intriga da un po’ e ogni tanto mi torna alla mente di parlarne o scriverne , ad esempio quando – su di un mezzo di trasporto pubblico, di solito – ascolto - cercando di non ascoltare ma è impossibile – telefonate al cellulare ove si rivelano dettagli intimi della propria vita, indicazioni sui propri spostamenti in corso o in progetto: addirittura una volta ascoltai allibita la esternazione a voce alta e distinta di quello che doveva essere un avvocato o un commercialista, che leggeva documenti di un suo cliente senza omettere neanche il nome
Noi non teniamo in alcun modo alla nostra privacy, in generale perlomeno, questo io penso. Del resto ci affrettiamo – pur di non essere out – ad associarci al social network di turno, luogo, come è noto, che potenzialmente consente a mezzo mondo di sapere come mi chiamo, dove abito, che lavoro faccio, il mio stato civile, i miei gusti, in quale posto mi trovo in quel preciso momento: a ben vedere un’orgia di esibizione di noi stessi. Situazione orgiastica del resto istituzionalizzata, proposta, riverita, meta da raggiungere al fine della celebrità, con i famosi reality tipo Grande Fratello. E qui occorre anche considerare la furbizia con cui si è scelto quel nome GrandeFratello, fino a ieri evocante, con spavento, Orwell e oggi accuratamente addomesticato, assurto a significato di divertimento, consistente – il divertimento – nello spiare un gruppo di volontari esibizionisti dentro un teleschermo. Quell’occhio che era torvo in Orwell, qui è solo malandrino e fa godere un popolo di guardoni; ha perso la sua carica eversiva e simbolica relativa a un futuro (futuro?) in cui non si potrà sfuggire allo sguardo terribile del Potere sulle nostre vite, per diventare un oggetto che al massimo può evocare, agli estimatori di Kubrik , il mitico Hal di Odissea nello spazio. Che però, quando è diventato cattivo Hal, è stato smontato dall’uomo, per l’ultima volta sovrano di se stesso. E non è affatto detto che l’operazione per noi qui sulla terra, come avvenne nello spazio, sia o sarà possibile.
Privacy vorrebbe dire – almeno penso - discrezione, intimità; ma il panorama intorno quale è? Migliaia di telecamere sono state montate sulle nostre teste e il solo possesso di un telefono cellulare, anche se spento, consente a distanza di sapere dove siamo. Usiamo la carta di credito e riveliamo gioiosamente con questo gesto cosa stiamo facendo in quel momento e cosa stiamo comprando per la gioia di schiere di dottori in marketing o di spioni meno innocenti (non possiamo escludere che ci siano anche quelli). Parliamo di noi, ci mostriamo attraverso la Rete, parliamo a voce alta per strada e gesticoliamo con una chiocciolina infilata nell’orecchio. Noi tutti forse abbiamo un gran bisogno di affetto, di condivisione. Temiamo la solitudine e cerchiamo il consenso, la compagnia. Dev’essere questo. Sennò non si spiega. Ma di privacy in tutto questo non si parla – in entrambe le direzioni . I due attori in campo - chi si esibisce e chi controlla - non sono, tuttavia sullo stesso piano. Ed è anche vero che il discorso di piani e di angolazioni ne ha diversi e che forse – io penso – meriterebbe di approfondirli tutti. Salvo sapere in anticipo che comunque si è fuori moda a parlare di discrezione nel mondo dove tutto ruota intorno alla immagine e alla esibizione. Chi si nasconde è perduto, non ha chance? Chi predilige la riservatezza è perdente? E’ tutto da vedere, da dimostrare…


Germana Pisa



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L'accento di Socrate