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BASTA LA SALUTE



E’ opinione comune che star bene basti da solo a poter svolgere quello che abitualmente facciamo: camminare, mangiare, bere, parlare, pensare, scherzare, giocare, dormire e poi di nuovo camminare, mangiare...giocare, dormire e così via la prossima giornata. Ma durante le attività quotidiane noi già contribuiamo a star bene, perché, in base alla scelta di come svolgere quelle stesse attività, avremo un ritorno più o meno inconsapevole sulla nostra condizione psico-fisica nei giorni a venire.

Stare bene è uno specchio che parla a sé stesso, una sorta di entità autoreferenziale reificata a parametro del nostro ciclico vivere. Quindi ci si potrebbe domandare: dov’è la razionalità dello “star bene”, se è vero che basta un esserino submicroscopico come un virus o una giornata storta a farci star male?

E poi di quale salute parliamo? Quella dell’individuo, del cittadino, della popolazione o dell’uomo?

Perché le statistiche possono anche fornirci un’idea approssimativa dell’andamento di una certa patologia, ma sicuramente non parlano di me, cittadino di una grande città, costretto inevitabilmente a respirare un certo tipo di aria ed a mangiare quello che distribuiscono i supermercati, senza poter in alcun modo cambiare le condizioni ambientali che determinano il mio stato di salute. Storicamente l’uomo vive più a lungo, ma vive davvero in una condizione di benessere o, se vogliamo esagerare, può dirsi veramente felice?

L’Organizzazione Mondiale della Sanità recita infatti in questi termini, la salute è uno “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia”. In base a questa definizione lo star bene sembra assurgere ad uno stato di completa soddisfazione e felicità impossibile da raggiungere e da realizzare. Allora credo non esista nessuno che possa dirsi in salute. Fin dal primo termine utilizzato questa definizione mi trova imbarazzato (e non a livello intestinale). La salute è una condizione dinamica, non statica, che va ricercata in tutti i momenti della vita, senza con questo divenire un ossessione, perché altrimenti rischiamo di perdere per strada già uno dei componenti di quella definizione, il “completo benessere psichico”.

La salute può essere definita con gli esami strumentali, siano essi emato-chimici, radiologici o clinici? Anche qui la risposta è negativa: potrei fare tutti gli esami più tecnologici e più cari di questo mondo, da essi potrei aver informazione dell’assenza di note patologiche, ciò nonostante continuare a stare male, forse peggio di prima, per la mancata dimostrazione del problema che mi costringe a stare male senza una risposta adeguata.

Ma allora cos’è questa dannata salute, che più cerco di definire e più appare camaleontica? Non rientra per caso fra quelle definizioni che l’uomo cerca instancabilmente di trovare senza riuscire mai a centrare il risultato, come il giusto, il bene, il bello, il reale, l’essenza. Ognuna di queste aspirazioni dell’uomo sono in realtà tomi della filosofia con un’imponente mole di studi, di approfondimenti e di interpretazioni (etica, estetica, epistemologia, diritto).

Lo “star bene” si presta quindi a correnti filosofiche che nel corso della vita individuale e nel corso dell’evoluzione del pensiero umano sono prevalse in un senso piuttosto che in un altro. La vita stessa è un enigma sia dal punto di vista biologico che metafisico.

Salute non è forse preservare la vita? Non tanto nel senso frainteso della vita vegetativa, perché quella è una condizione comune alle piante, quanto in quello che costituisce la vita di relazione, i nostri rapporti con gli altri.

Con una pianta posso parlare, certo lei non mi risponde a parole, neanche un bambino di pochi mesi mi risponde con le parole, magari con un sorriso o con un pianto. La pianta risponde a distanza di giorni, la risposta c’è se solo si ha la capacità di aspettare una risposta e di insistere nel dialogo, ma questa non è certo la vita di relazione che contraddistingue l’uomo.

La vita di relazione è un indice di salute non indifferente, se pensiamo che per qualunque malattia, dalla più banale alla più importante, c’è una tendenza ad evitare il confronto con gli altri, a chiudersi in noi stessi. In caso contrario c’è il tentativo di cercare dalle esperienze degli altri una terapia che non necessariamente si addice al nostro problema.

Non esiste l’essere vivente sano ma estraniato dal mondo, la dinamica relazione fra individuo e tutto ciò lo circonda è fondamentale per la sopravvivenza stessa dell’universo, forse più di qualsiasi altra cosa.



Luigi Giannachi, sceneggiatore e medico esperto in terapia del dolore (neurochirurgia ed agopuntura)






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