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Confessioni di una aspirante madreun libro che Lisa Corva ha scritto, per star meglio.

Sì, perché “Confessioni di una aspirante madre”, sono le confessioni di chi madre non riesce a diventare, questo è il bello, anzi il brutto…..

E’ un libro autobiografico, che racconta quello che tante donne non hanno il coraggio di dire a nessuno,nemmeno a se stesse, mentre Lisa ne parla, con una sincerità spudorata. Cosa provano le donne che incontrano amiche o vicine di casa o comunque altre donne col pancione, mentre loro sono uscite per l’ennesima volta da un mese di speranza disattesa? Cosa immagina quando in tv sembrano passare solo pubblicità di neonati e carrozzine, mentre a loro il medico ha detto ancora una volta no? Vive momenti di grande sconforto, disperazione, sentimenti che tenuti dentro covano solo pensieri negativi, che comunque non risolvono la situazione e fanno solo male. A se stesse, alla coppia, alla vita intera. Meglio tirarli fuori, come ha fatto Lisa. Dopo la pubblicazione del tuo libro, nel 2005, hai creato un blog, su cui raccogli confidenze e solidarietà di tante mamme mancate.


D. Per entrambi, libro e blog, è un successo che ti aspettavi o cosa insperata? E funziona ancora, a distanza di 5 anni?


Dico sempre che questo è il libro che avrei voluto leggere in tanti anni nelle sale d'attesa dei medici e

degli ospedali, il libro-salvagente che avrei voluto mi facesse ridere e piangere nelle mie  avventure e disavventure da aspirante madre. Quindi è stato commovente capire (e l'ho capito attraverso le tante, tantissime storie che sono arrivate e che continuano ad arrivare al mio blog) che il mio libro è stato così, davvero, per tante aspiranti madri: un salvagente per non affogare, un modo per sdoganare la rabbia, per condividere il dolore e la frustrazione. Ma il blog è cambiato in questi cinque anni. Non è più solo uno spazio per aspiranti madri. Con l'uscita del secondo libro, Glam Cheap, un romanzo che parla  di amore, moda e disoccupazione (eh sì, un altro tema tabù: la recessione e l'eurostress, ma sempre in tono lieve e ironico), e poi con la mia nuova rubrica su City (una rubrica poetica, o meglio di schegge di poesia), è diventato altro. E' diventato uno spazio aperto a tutte le aspiranti madri, a tutte le fashioniste squattrinate

e le eurostressate, a tutte le donne (e gli uomini) che credono nel potere delle parole. Che credono che le parole ci possano far sorridere, pensare, aiutare, commuovere, ricordare, indicare la strada. O semplicemente illuminare per un attimo la nostra giornata.


D. Torniamo al libro: problema grande, ma affrontato con l’occhio della leggerezza, per non appesantire ulteriormente una situazione già difficile. La lettura, infatti, è piacevole, proprio per il sorriso, il tono scanzonato che sembrerebbe frivolo, ma credo abbia proprio la funzione di sdrammatizzare. E’ piaciuto anche alle lettrici?


Credo che quello che è piaciuto è soprattutto l'autoironia: il tentativo di guardare tutto quello che succede,

le analisi spermatiche, lo sguardo scanner sulle pance delle altre, il mondo invaso da passeggini, cercando di vederne il lato buffo, surreale, comico. Si può, davvero. E' l'autoironia il vero salvagente, sempre.


D. Ora vorrei introdurre con te un argomento spinoso, che certamente non tutti i lettori condivideranno e che voglio affrontare in punta di piedi: quando una donna non desidera un figlio, spesso viene tacciata di essere egoista. E’ un luogo comune, pensa alla carriera, a se stessa, al non sacrificio. Ma non c’è anche dietro a questo desiderio spasmodico di un figlio la spinta di un sogno personale da realizzare, insomma non può essere egoismo anche il sogno della maternità?


Non so se l'accanimento alla maternità sia egoismo. Sicuramente ci mette di fronte - a volte in modo brutale - a quello che è il femminile. A quello che significa il femminile per le donne di oggi. Sei una donna, una donna per natura rimane incinta, ha un figlio, diventa madre; dunque se "per natura" tutto questo non succede, sei meno donna? Non sei una donna? Molte donne si scontrano, dolorosamente, con questo, perché, come mi diceva Flamigni, uno dei pionieri della fecondazione artificiale, il problema è che la maternità biologica oggi è dissociata da quella "sociale": dal punto di vista biologico il momento giusto per avere un figlio è 25 anni; dal punto di vista sociale, è 35, quando hai studiato, ti sei laureata, hai trovato un lavoro, un partner, un posto nella vita. Ma allora, a volte, è troppo tardi: l'età media delle donne, spesso disperate e stanche di anni di tentativi ed esami, che arrivano ai centri di concepimento assistito, è 38 anni e mezzo. Per gli uomini è diverso, credo, perché la maternità passa innanzitutto per il corpo femminile: il ciclo mestruale, e poi la pancia (e "l'invidia della pancia" delle altre, sentimento quasi inconfessabile, che ho cercato di sdoganare nel mio libro) sentire un figlio che cresce, portarlo in grembo, dargli vita. Per questo molte donne fanno fatica a decidere di adottare. Un figlio non biologico, non nato da te, dal tuo corpo... E questo ci mette di fronte a un altro tema, credo, quello della partenogenesi. L'illusione/speranza/possibilità di poter avere un figlio anche "da sole", e quindi la donna sola, di fronte alla scienza, di fronte alle tecniche di riproduzione assistita.

Egoismo. Partenogenesi. Ma a me quello che più interessa è il tema del confine. Del limite. Fin dove arrivare, prima di perdersi, di smarrirsi? Per questo nel mio romanzo - che è solo apparentemente leggero, credo - c'è un finale aperto per la protagonista. Perché Emma, l'aspirante madre, a un certo capisce che sta diventando una persona che non le piace. Che si sta perdendo. Che si sta perdendo dentro il suo desiderio di un figlio. Quando fermarsi? Quando tracciare il limite? Ogni aspirante madre deve scoprirlo da sé, così come l'hanno scoperto le lettrici del mio libro.

Il tuo libro si conclude con un finale che chiamerei aperto; cioè hai lasciato alle “aspiranti madri” il compito di decidere come comportarsi. Piangersi addosso, rassegnarsi, lottare…

O accettare. Ogni donna, ogni aspirante madre, trova la propria strada: e il mio blog ne è la conferma

C'è chi ha capito che non voleva tentare la riproduzione assistita. Chi ha fatto un paio di tentativi e poi ha deciso: basta. Chi è andata all'estero, e dopo nove tentativi (nove Fivet!) ha avuto due gemelli. Chi invece ha deciso di adottare. Chi di accettare, invece, di essere una donna senza figli: accettare, forse la cosa più difficile, nella vita. Che non è la stessa cosa di subire. Accettare vuol dire innanzitutto accettarsi.


www.lisacorva.it // “Confessioni di un'aspirante madre”, di Lisa Corva, edizione Sonzogno.


Giuliana Pedroli


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