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Lucilla Bossi, come ho affrontato la malattia



Avevo all’incirca cinque anni quando a tavola tra i miei genitori ho iniziato a pensare alla realtà, che cos’è la realtà che vedo? Mi sono sentita persa e poi pensando alle stelle sono riuscita a rientrare nella mia normalità…“.

Il piccolo mondo della sua vita quotidiana infantile già iniziava ad andarle stretto e alla sua tenera età già cercava con la mente nuovi orizzonti e nuove prospettive: non è l’incipit di un romanzo ma il racconto di una vita che inizia. È ciò che Lucilla Bossi mi ha narrato durante il nostro incontro, lei ora è la Presidente nazionale dell’Associazione Parkinson Italia www.parkinson-italia.it che ha fondato in seguito alla scoperta di esserne malata; questa è una donna fuori dal comune che sa essere un esempio di coraggio, speranza e capacità di lottare difronte le avversità: è un esempio per tutti noi. L’intervista è stata uno scambio di vedute sulla malattia, sulla condizione femminile e sulla capacità di non lasciarsi sopraffare dagli eventi. Ma il dialogo non si è fermato in quell’ora dell’appuntamento, bensì è continuato attraverso un carteggio proficuo grazie al quale abbiamo scoperto di avere molti interessi comuni…. “Sono laureata in filosofia, tutto è avvenuto nel periodo in cui ho scoperto di essere malata di Parkinson, poi dopo quindici giorni l’annuncio di mio marito che si era trovato un’altra ed infine il cancro al seno. E poi avevo un figlio piccolo da crescere da sola”. 

Lucilla Bossi ci racconta qualcosa di fondamentale su come ha affrontato la malattia. “Una volta consideravo la malattia come un inciampo sul cammino della vita, oggi è diventata il camminino stesso. L’operazione mi ha fatto sentire una miracolata. Nel novantotto ero ridotta a pesare 39 chili, ho fatto l’intervento, la cosiddetta DBS*, in Svizzera, mi ha operata Jean Siegfried. È stata una passeggiata, non mi hanno nemmeno rapata a zero. Dopo l’operazione stavo bene, quindi ora parlare della malattia mi fa sentire ridicola. Per parlare della malattia devo andare a prima dell’operazione. Allora ero disperata, la malattia si vedeva. Mi ricordo un giorno ero andata a far delle fotocopie con una mia amica e il commesso, anche se io avevo in mano i fogli, si era rivolto alla mia amica. Ti vedono strana, una che non c’è con la testa. Mi ripetevo che mai più sarò una donna sana, normale: il mio sogno era la normalità”

I guai non arrivano mai da soli, ma lei oltre ad una grande capacità di rimanere in piedi senza perdere l’equilibrio ha sempre avuto una certa competenza nel trovare una soluzione per tutto vedendo con un buon grado di ottimismo, dote indispensabile per affrontare l’esistenza, il lato positivo di ogni accadimento. “Il matrimonio non funzionava, quindi meglio così. Il cancro mi è stato tolto dopo l’intervento al cervello per bloccare le discinesie, altrimenti con tutti quei movimenti involontari sarebbe stato molto difficile il post-operatorio”.

Il suo approccio ottimista è fondamentale “Non ho fatto nulla di ciò che un parkinsoniano fa e questa è stata la mia forza, io non ho mai creduto che la malattia fosse inguaribile, tutto può accedere”.

Quando parla ai convegni riceve molti complimenti, piace alla gente proprio perché trasmette una speranza anche a chi malato non è. “C’è una forza che si manifesta attraverso il mio vivere che io non conosco fino in fondo. Cercare di capire questa energia è la cosa che ora mi interessa più di tutto”.

Ciò l’aiuta  a vivere nell’estremo presente.  “Io mi alzo alla mattina contenta di alzarmi, mi metto nelle mani di Dio e poi inizia la giornata.”.

Possiamo dire che la malattia fa sottovalutare le piccole ossessioni umane come l’ordine. “Il Parkinson ti dà un tale sberlone che tutto il resto viene ridimensionato. L’atteggiamento è: sto OK, è capitato è inutile piangersi addosso”.

Il suo messaggio è adatto a qualsiasi malato, ma a chi non è stato fortunato come lei sente di poter regalare una speranza “Sono fortunata ma non so quanto durerà l’effetto dell’intervento. Ciò che mi ha aiutato è l’accettare che il male fa parte della vita, accettare la malattia è l’unica cosa che possiamo fare. Il male non è un incidente di percorso. No, è parte di tutto il gioco. Il mondo esiste perché ci sono due polarità, positivo e negativo, ying e yang, luce e ombra, giorno e notte. Se non ci fossero non ci sarebbe l’energia per… Capire questo è importante per un malato. C’è la sfiga, va beh è toccata a me. Meglio il Parkinson che qualcosa di peggio. Una cosa da evitare è la metafora del Parkinson come nemico, vale a dire se controllo bene i sintomi vinco la battaglia, altrimenti vince lui. Il vero nemico è la negazione dell’accettazione della malattia. C’è una storiella che racconta C. Gustav Yung, il discepolo chiede al maestro ‘Chi raggiunge prima l’illuminazione, chi ama Dio o chi odia Dio?’ Il maestro risponde ‘Chi ama Dio impiega sette anni, chi odia Dio solo tre perché pensa  a lui tutto il giorno’. Tutto è relativo”

Questa sua grande capacità di reagire alle circostanze sfavorevoli sembra affondare le radici nel rapporto infantile con la madre “Quando cadevo per terra, mia mamma non correva come qualsiasi madre ma mi diceva ‘Non è niente’. Quell’esortazione è servita, quando mi hanno diagnosticato la malattia”. Ha obbedito a sua madre ed è andata avanti a vivere. Purtroppo molti malati dopo la diagnosi si sentono perduti ed entrano nella condizione mentale dei parkinsoniani vivendo solo per il Parkinson. Indubbiamente la malattia è grave ed invalidante, tutti abbiamo ancora viva nei ricordi l’immagine di Giovanni Paolo II sofferente ed incapace di muovere i muscoli, ma ci sono momenti in cui il malato non può smettere di muoversi “Tutta la comunicazione non verbale viene falsata…..” ci tiene a sottolineare. In quei momenti è impossibile bere persino una tazza di te. E’ una malattia molto minante, ma devi continuare a vivere nonostante, “La vita non può finire a causa di Mr. Parkinson”, come lei ironicamente lo definisce.

Per concludere diamo alcuni suggerimenti a chi è malato di Parkinson, e in generale a chi è malato.

Bisogna avere degli interessi e poi l’isolamento e la solitudine sono le cose peggiori quando si è malati, di qui l’importanza di frequentare l’associazione. Tre cose sono fondamentali: Accettare la malattia, pensare che se ne può uscire, non prendere troppo sul serio la malattia. Curarsi ma senza pensarci continuamente. I pazienti Parkinsoniani hanno bisogno di più leggerezza. Quindi avere un progetto per non pensare troppo al male. C’è chi dopo la diagnosi non fa più nulla e mette tutto nelle mani di chi avrà cura di lui. Bisogna evocare nel malato le risorse, le risorse spirituali sono potentissime, non sono flatus vocis. Una persona che ha dentro le cose che vado elencando è una persona che ha una marcia in più”.

La “cattiva ragazza”, termine da lei coniato per rappresentare la ribelle che c’è in ognuna, è una ribelle che non si fa incantare dai luoghi comuni, ma una parte di noi che se si fa filosofa (come mi piace aggiungere) ed è in grado di difendere l’integrità della persona dai duri colpi del destino. Insieme abbiamo così creato la definizione della “Cattiva ragazza che si fa filosofa” come vessillo di una donna che sa reagire senza piangersi addosso. Naturalmente ciò è applicabile anche in linea maschile.

È importante conservare gelosamente la cattiva ragazza come un utile strumento di navigazione se poi si lavora per farla diventare filosofa ogni ostacolo diventerà più superabile. Lucilla Bossi docet!

 Maria Giovanna Farina presidente dell'associazione culturale L'accento di Socrate

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