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ed avevo accettato, più che altro per la curiosità che il luogo di detenzione aveva sempre suscitato in me. Ci son passata davanti ogni giorno, per anni - chissà com’è dentro? -  mi domandavo spesso.

L’occasione è capitata perché qui lavora Teatro In-Stabile, la Compagnia stabile del Carcere, una formazione di attori e non, che ha sede proprio all’interno della Casa di Reclusione di Milano-Bollate.



Nella foto: la Compagnia Teatro In-Stabile



Gli spettacoli sono prodotti da  e.s.t.i.a., una cooperativa sociale, fondata nel 2003, che promuove interventi formativi e performativi in contesti sociali tra i più diversi. Il gruppo di lavoro opera in ambiti detentivi, in centri giovani, periferie, teatri, con la finalità di promuovere azioni culturali mirate. La compagnia mira a far vivere, attraverso programmazione e produzione teatrale, una sala all’interno del carcere, un vero teatro, perfettamente attrezzato con una capienza di 150 spettatori, che viene aperta alla popolazione detenuta e a quella esterna. All’attività stabile di produzione, che vede il coinvolgimento di attori-detenuti, si affianca l’offerta di spettacoli ospiti e attività culturali di vario genere (incontri, seminari, laboratori) rivolti all’utenza interna e del territorio circostante la casa di reclusione. L’obiettivo primario è il reinserimento socio-lavorativo di persone ristrette nelle libertà in contesti socio professionali sufficientemente sani.



Nella foto: due dei protagonisti



 Lo spettacolo è stato bello, coinvolgente; “Il rovescio e il dirittoliberamente ispirato agli scritti giovanili di Camus, parlava dell’esistenza umana, del nostro bisogno di amore, di potersi raccontare, di essere ascoltati, di vita, di morte. Gli attori, sotto la regia di Michelina Capato Sartore, hanno saputo comunicare emozioni e sentimento. Bravi, tutti.

Ma lo spettacolo vero è iniziato dopo, lo spettacolo umano, intendo; quando gli applausi meritatissimi e ripetuti, si sono zittiti e si sono accese le luci nella sala. Non è successo come in ogni teatro che si rispetti, non c’è stata la corsa all’uscita. Gli attori hanno lasciato i loro personaggi e sono tornati ad essere se stessi, giovani e meno giovani, ospiti del carcere. Con meraviglia ed inaspettatamente le prime persone sono scese di corsa dagli spalti, per andare ad abbracciare e baciare, chi l’uno, chi l’altro protagonista. Parenti, fratelli, fidanzate? Non saprei dire, ma la gioia brillava nei loro occhi. Che emozione; non conoscendo le loro storie ho potuto solo immaginare, io che non avevo nessuno da abbracciare, e mi son messa in un angolo ad osservare. Quella biondina assomiglia tanto al giovane, saranno fratelli? E quel signore, forse oggi ha potuto abbracciare una volta di più suo figlio? Poi, all’improvviso, questo scambio di saluti, abbracci, strette di mano, ha coinvolto tutti, e tutti senza nessuna fretta di uscire, siamo scesi giù dagli spalti per una parola, un complimento. Tra gli attori c’era chi stava un po’ più sulle sue, ringraziava, raccontava di sé, chi era più spavaldo. Mi ha colpito un ragazzo che, attorniato dalle spettatrici più giovani chiedeva avidamente l’età, i progetti. "E dove andrete, ora fuori di qui….a divertirvi, a ballare, a bere qualcosa?" come se potesse essere anche lui del gruppo, almeno con la fantasia. Deluso, quando le ragazze dicevano "Ora andiamo a dormire".



Non so perché quei giovani e meno giovani si trovino ristretti nella loro libertà, ma certo so che quel loro lavoro sul palco li aiuta ed aiuta noi a vederli come sono in realtà, ragazzi normali, con qualche scheletro in più nell’armadio, forse, ma con la stessa voglia di vita che hanno i nostri figli. E quando gli angeli custodi vestiti di blu, come li chiamano loro, ci hanno ricordato che era ora di raggiungere l’uscita, ci hanno salutato, ringraziato per aver voluto andare ad applaudirli ed hanno salutato anche quelli che sono come loro, le guardie, anche loro abitanti di questo mondo chiuso, che si vede oltre le sbarre, che si sogna col cuore e la speranza.

Ultima nota: giovani, giovanissimi i ragazzi che ci hanno scortato prima e dopo lo spettacolo, tra un controllo e l’altro. Giovani che sono tornati a lavorare di sera, a turno finito, proprio per permettere ai loro  “fratelli” detenuti di raccogliere i nostri applausi. Questa è la solidarietà che li fa sentire vicini.    

G.P.



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