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Intervista a Rosantonietta Scramaglia

docente di Sociologia




Rosantonietta Scramaglia è professore associato presso la IULM di Milano e dal 2003 ha un affidamento esterno come titolare del corso di Sociologia urbana presso il Politecnico di Milano. Un percorso accademico e di sperimentazione ricco, davvero interessante…


Rosantonietta credo sia difficile intervistarti, tanti sono i temi di cui ti occupi. Per questa primo incontro vorrei dirti che mi ha molto colpito il tuo percorso, in particolare vuoi raccontare ai lettori de L’accento di Socrate come sei giunta a due lauree così diverse. Come “convivono”?

Quando ho terminato il liceo e dovevo scegliere a che facoltà iscrivermi sapevo che quello che veramente mi interessava era lo studio del comportamento umano. Durante i viaggi fatti da bambina guardavo curiosa le particolarità riscontrate nei vari popoli e cercavo di scoprirne le differenze e le motivazioni. E più le scoprivo, più desideravo viaggiare e conoscerne di nuove. Ma, allora non era come oggi che è facile per un giovane prendere un aereo, magari low cost, e andare dall’altra parte del pianeta in vacanza o per frequentarvi un corso in una scuola. La sola facoltà universitaria che giustificava dei soggiorni all’estero era quella di lingue. E poi, se volevo conoscere a fondo le altre culture, le lingue mi sarebbero state utili. Tanto più che avevo frequentato il liceo classico dove l’inglese non si studiava. Così ho deciso di iscrivermi alla facoltà di Lingue e letterature straniere alla IULM, appena fondata. Lì, ho iniziato con lo studio dell’inglese, poi in un viaggio a Parigi, ho avuto come un colpo di fulmine per quella città e ho cambiato lingua passando al francese a cui ho aggiunto il tedesco sempre spinta dal grande amore per le culture germaniche. I lunghi e frequenti soggiorni a Parigi mi hanno fatto accrescere una passione che avevo da sempre verso l’architettura, come altra grande forma di espressione culturale e sociale. Cosa c’era di meglio che affiancare allo studio dell’espressione letteraria dei popoli quella architettonica e urbanistica? Convinta di ciò, mi sono iscritta al Politecnico che ho frequentato con grande passione mentre ero assistente al corso di Sociologia alla Iulm, una materia che trovavo molto affine ai miei interessi. Una volta laureatami in Architettura, sono stata invitata a frequentare un dottorato e la mia scelta è caduta su quello di Sociologia e Metodologia della ricerca sociale dove ho vinto un bando all’Università Cattolica di Milano. Ecco spiegato il mio titolo di insegnamento attuale al quale come vedi sono arrivata per vie tortuose ma gratificanti. 

Puoi dirci cosa sono le social housing di cui ti sei occupata e in particolare se dai tuoi studi intravedi una vita urbana migliore per il futuro?

Sì, sono ottimista per carattere e credo che sia importante esserlo. Il primo libro che ho scritto è sull’Utopia dove analizzavo le città ideali che l’uomo nella storia ha sognato, di cui ha scritto o che ha addirittura costruito: mi riferisco per esempio rispettivamente al paese di Cuccagna, a Utopia di Tommaso Moro o alla Città del Sole di Tommaso Campanella e a città come Palmanova o a veri e propri Stati ideali come alle Riduzioni gesuite del Paraguay. Tornando al nostro futuro, credo molto nelle cosiddette “profezie autoverificantesi”. Cioè quando noi non crediamo nel futuro e lo vediamo senza speranza questo veramente si rivelerà tale non perché ciò era già scritto nel destino o nel fato, ma perché non credendoci, non ci impegniamo a renderlo fiorente. Quindi, se noi non ci scommettiamo sul futuro, siamo già perdenti in partenza. Per entrare nel merito del futuro delle città, ormai questo corrisponde al futuro della popolazione mondiale che è per più di metà cittadina. È vero che oggi i centri urbani devono affrontare dei problemi strutturali enormi - dal traffico all’inquinamento - e sociali - dalla solitudine alla sicurezza -. Ma è altrettanto vero che si stanno studiando tante possibili soluzioni tecniche ai problemi strutturali e che ci sono altrettante iniziative più o meno spontanee che coinvolgono i cittadini per facilitarne l’integrazione e l’aggregazione. Basti pensare a quante forme di condivisione si stanno sperimentando a livello cittadino dalle social street, al cohousing, ai gas (gruppi di acquisto solidali), alle banche del tempo. Iniziative che si sovrappongono alla folta schiera di quelle tradizionali organizzate dalle amministrazioni pubbliche, da enti privati spesso basati sul volontariato, da parrocchie e altro.  In particolare, il social housing è una tipologia di alloggi sostenibili economicamente, socialmente e dal punto di vista ambientale che sta prendendo piede anche in Italia, seppur lentamente e con un certo ritardo. In quella che è stata definita la sua forma più felice, il cohousing, esso permette di ridurre al minimo i costi di acquisto e di gestione del proprio appartamento grazie alla presenza all’interno del condominio di spazi adibiti ad uso comune che possono variare a seconda delle esigenze degli abitanti – dalla foresteria per alloggiare i propri ospiti, a spazi gioco per bambini, lavanderie, sale tv, cucine e sale per pranzi e per feste, piccole officine con attrezzi da condividere, palestre, orti, ecc. Se gestiti bene e rispettati, la vita in questi spazi può contribuire non solo ad un risparmio economico, ma anche a una maggiore conoscenza fra vicini, e a una più facile integrazione sociale.

Credo sia molto interessante, dal punto di vista di una sociologa, il tuo studio sulla fruizione del cibo? Di che cosa si tratta? 

Di cibo ho trattato da molti punti di vista. Ho iniziato occupandomi del significato simbolico e sociale del suo consumo, dai pranzi durante le cerimonie e le feste, alla cena romantica, al cucinare insieme e al sedersi a tavola per le coppie e per le famiglie. Ora, invece, anche come membro del Comitato Scientifico del Centro Sviluppo Sostenibile, sto svolgendo ricerche sull’immagine che gli italiani hanno degli insetti e sulle loro resistenze ad accettarli come cibo. Il mio interesse per l’argomento nasce da vari elementi: dal fatto che fra pochi mesi anche in Italia verranno liberalizzati il commercio e il consumo di insetti commestibili; dagli inviti della Fao a diffonderne il consumo per aiutare la lotta contro la fame nel mondo, agli studi degli ambientalisti secondo i quali il consumo di quei cibi causerebbe meno riscaldamento del pianeta di quanto non facciano gli attuali allevamenti. Dopo l’Expo di Milano, insomma, appare sempre più probabile che anche in Italia essi potrebbero in futuro far parte della nostra alimentazione come avviene già in moltissimi popoli, naturalmente senza pensarli come un sostituto della nostra pasta o pizza, o ogni altro cibo della nostra tradizione.

 Maria Giovanna Farina (Ottobre 2017- Tutti i diritti riservati©)


Rosantonietta Scramaglia ha appena pubblicato

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Maria Giovanna Farina (Ottobre 2017- Tutti i diritti riservati©)

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