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e in questo film ci riesce ancora una volta. Non sono qui per fare una recensione vera e propria ma per segnalare una pellicola utile a comprendere qualcosa di fondamentale sull’essere diversi, una realtà che da anni studio dal punto di vista filosofico attraverso incontri professionali e umani. La diversità non è solo quella sessuale, “l’omosessualità è una caratteristica” dichiara un personaggio del film ed è proprio in quest’ottica che ogni differenza andrebbe osservata. Ozpetec non stigmatizza il gay, non lo rappresenta mai come l’unica persona che vive male la propria diversità, ma lo raffigura integrato nella società anche se con qualche difficoltà superabile. Non limitandosi solo a ciò, il regista in questo ultimo film mette ancora di più in risalto tutte le difficoltà umane: ognuno di noi, al di là di ogni singola differenza, ha qualcosa di nascosto nell’anima e non sempre riesce a farla salire in superficie. In ogni suo film lancia una speranza: è possibile vivere bene insieme anche se si è molto differenti ed il trucco non sta nell’accettare ma nel diventare consapevoli. Sì, se tutti si fosse più consapevoli di esseri diversi ma uguali e che l’altro diverso da noi ha anche lui qualcosa, come noi, da nascondere per non essere giudicato, forse non si punterebbe più il dito. Questo film è una terapia non solo contro l’omofobia, ma più in generale contro la paura di amare liberi dal pregiudizio.

 La ri-cerca della felicità è uno dei grandi compiti che la filosofia si è data ed ho già più volte ricordato quanto l’impresa sia ardua, in modo particolare se si cerca nel luogo sbagliato. In questo film, ma in generale in tutta l’opera cinematografica di Ozpetec, il compito viene sempre assolto: il regista si pone la questione e dà la sua risposta. In Mine vaganti emergono dissidi familiari troppo spesso irrisolvibili come quelli determinati dalla scoperta dell’omosessualità di un figlio. Non posso scendere in particolari per non svelare la trama, ma c’è per così dire un coming-out* non riuscito e nonostante ciò vissero tutti felici e contenti. Ma dove? Nel film si intuisce che ciò avviene nell’oltre mondano. Vedo questo finale come una grande metafora filosofica di ispirazione platonica dove l’Iperuranio, il mondo delle idee, può essere identificato non come l’al di là ma come il luogo dell’esistenza di idee pure. Idee ancora immuni dalla pericolosa influenza degli stereotipi che fanno delle singole diversità, ancor più se di carattere sessuale, motivo di derisione, critica e discriminazione. Il compito del filosofo è difendere le idee pure, là dove lo sono ancora, o ripulirle da pericolosi luoghi comuni quando sono annebbiate dal pregiudizio. Possiamo conclude affermando che con apparente semplicità il film aiuta ad elaborare le idee fasulle per far strada al pensiero naturale che potenzialmente vive in ogni essere umano, pensiero indispensabile per non considerare più, nel caso specifico, l’omosessualità come una disgrazia da esorcizzare.

 M.G.F.

*Il coming-out  è la dichiarazione pubblica della propria omosessualità da non confondere con l'outing che è rivelare l'omosessualità di una persona senza la sua autorizzazione




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L'accento di Socrate