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Intervista ad Annamaria Manzoni




Annamaria Manzoni è psicologa e psicoterapeuta impegnata nell'ambito della tutela minorile. Il suo ultimo libro Sulla cattiva strada, ed Sonda affronta il tema della sofferenza sugli animali non umani.


Gli animali sono esseri senzienti anche se non umani, come si può far comprendere che non c'è differenza nel dolore?

La domanda potrebbe essere ribaltata: come è possibile non comprendere che non c’è differenza nel dolore? Se può non essere facile percepire i segnali di sofferenza di una formica, di un piccolo insetto, altrettanto non si può certo affermare a proposito dei mammiferi e in generale degli animali un po’ più grandi: esattamente come noi, cercano di sfuggire le fonti di dolore, si rattrappiscono, provano a difendersi, contrattaccano, emettono grida speciespecifiche. Anche per quanto riguarda quelli un po’ più diversi come possono essere i pesci, davvero non è evidente che il loro dibattersi una volta presi all’amo è un disperato tentativo di liberarsi? Davvero non si coglie che il loro ansimare è soffocamento? Davvero non si è colpiti dallo sguardo terrificato che, una volta morti, resta impresso sul loro muso? La negazione del dolore degli animali è un meccanismo di difesa, supportato dalla cultura circostante, teso a liberarci dall’angoscia, e dai sensi di colpa da cui potremmo essere invasi nel prendere atto dell’orrore che stiamo mandando in onda.

Fin dall'antica Grecia ci giungono notizie della presenza di filosofi che si nutrivano solo di vegetali. Che cosa ci rende schiavi della cultura della carne?

Tante cose sono cambiate nel corso dei millenni, da quando aveva luogo una lotta per la sopravvivenza anche tra umani e non umani. Grazie ai suoi mezzi, riferiti alla propria anatomia, fisiologia e intelligenza (uso delle mani e capacità conseguente di costruire strumenti) l’uomo ha ben presto avuto la meglio sull’animale non umano. Non si è più fermato e progressivamente ha sostituito la necessità alimentare, a cui gli animali fornivano una risposta, con il piacere della pancia e della gola; ha sviluppato una concezione antropocentrica che gli ha permesso di ritenersi signore e padrone di tutte le altre forme di vita, e più genericamente dei più deboli, anche quelli appartenenti alla sua stessa specie (donne, bambini, “razze” inferiori). Una infinita dose di egocentrismo, che è il corrispondente individuale dell’antropocentrismo collettivo, ha fatto il resto. L’attuale industrializzazione ha moltiplicato in misura sconvolgente la capacità umana di sfruttare gli altri animali. Da sempre, dall’antichità, sono esistite persone, per altro di altissimo livello (Plutarco, Teofrasto, Leonardo da Vinci….) che hanno guardato la realtà con altri occhi, ma hanno espresso un pensiero minoritario, che non è riuscito ad influire sul corso della storia

C'è un possibile punto di incontro tra chi è vegano e chi è invece carnista? Voglio dire: il dialogo può essere anche in questo caso lo strumento principe della relazione?

Il dialogo è necessario, doveroso, fondamentale. Per analogia chiederei, facendo un salto indietro in un tempo nemmeno così tanto lontano: è possibile trovare un punto di contatto tra schiavisti e antischiavisti? Tra sostenitori della pena di morte e loro avversari? Il dialogo è possibile, ma l’accordo arriva solo sulla scorta di fondamentali cambiamenti nell’approccio globale con la realtà: il problema in altri termini è che ci si scontra su questioni che sono assolutamente fondamentali. Convivere con l’orribile sofferenza degli altri animali è insopportabile per una minoranza, problema bagatellaro per la moltitudine della gente. Al netto dell’empatia nei confronti degli altri animali, bisogna però anche chiedersi come sia possibile da parte di persone che hanno un accesso privilegiato alla cultura e quindi all’informazione, non rendersi conto per lo meno del disastro in termini ambientali che è diretta conseguenza degli allevamenti intensivi. Chiedersi come sia possibile che le frange cosiddette avanzate della popolazione, che si battono per i diritti dei tanti deboli sulla faccia della terra, fermino la loro attenzione e il loro interesse ai confini dell’umano. Che ogni vittoria, anche le più socialmente importanti, venga celebrata con tripudi di pranzi e cene, di cui esseri del tutto innocenti pagano un prezzo inammissibile.

Cosa le ha fatto intraprendere questa battaglia contro la violenza, animale e umana? Vorrei conoscere il momento preciso, se c'è stato, in cui ha deciso?

Rispetto alla sofferenza degli animali credo di avere da sempre avuto un’attenzione vigile, che mi ha indotto a “vederli”: voglio dire che non mi è mai successo, nemmeno quando ero piccola, almeno fino a dove la memoria mi consente di andare, di passare davanti ad una macelleria senza riuscire a vedere cadaveri, e non “prodotti”. Il mio comportamento ha assunto forme diverse nel corso del tempo, sulla scorta di diverse consapevolezze che andavo acquisendo: inizialmente mi limitavo ad inorridire davanti alle sofferenze animali, proprio come inorridivo davanti a quelle umane; però queste ultime trovavano in genere una maggiore condivisione intorno, a differenza delle altre. Di sicuro il fatto che nella mia famiglia ci fosse grande rispetto verso “gli altri” oggi capisco essere stato fattore determinante, anche se questo rispetto assumeva forme che non sono le mie di oggi.

L’attenzione verso la specie umana si è tradotta anche nella scelta professionale, mentre quella verso le specie non umane mi ha indotto, quando sono diventata adulta e in grado di… autodeterminazione alimentare, ad eliminare progressivamente dalla mia alimentazione tutti gli animali, con una progressione che oggi giudico essere stata un errore, in quanto sono stata guidata nella scelta degli animali da non mangiare non da quel criterio di giustizia, di cui oggi ho piena consapevolezza, ma dalla maggiore o minore compassione che le varie specie mi sollecitavano e anche dalla difficoltà di fare la connessione tra il “prodotto finito” (penso per esempio al tonno in scatola) e l’essere orribilmente torturato da cui proveniva. Comunque, sono diventata finalmente vegetariana una trentina di anni fa e poi vegana, una decina di anni fa.


Maria Giovanna Farina

(ottobre 2015 - Tutti i diritti riservati©)


Di cosa parla il libro


Sulla cattiva strada, ed. Sonda. Il male è tutto ciò che fa soffrire gli esseri senzienti: da questa banale considerazione, si snoda il tema del saggio, in cui l'autrice tocca temi uniti dal comune denominatore di avere come vittime della sofferenza inflitta gli animali non umani: le crudeltà di cui loro sono oggetto non sono solo quelle frutto del sadismo individuale, ma anche tutte quelle inflitte a norma di legge nei luoghi del loro martirio: territori di caccia, macelli, laboratori di vivisezione, il dietro le quinte dei circhi. Si ricompone così il filo che unisce queste realtà a tutte le altre che hanno come vittime gli umani: territori di guerra, prigioni, ospedali psichiatrici giudiziari, metodi educativi autoritari. Il risultato è un affresco al negativo in cui diventano evidenti e innegabili le interconnessioni tra tutte le forme di violenza manifesta, legali o illegali che siano, che, come una ragnatela, si ampliano e si contagiano reciprocamente. Ma anche una possibilità di riscatto e di cambiamento, non volendo confondere ciò che è lecito con ciò che è giusto, perché l'ingiustizia resta tale anche se normata da tutte le leggi di questa terra. E con la speranza di superare il cronicizzato peccato mortale dell'esclusione degli altri animali.

Maria Giovanna Farina

(ottobre 2015 - Tutti i diritti riservati©)




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