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-  Quanto tempo manca?

-  Verrà il tempo…

- Domani che tempo farà?

- Non mi ricordo quanto tempo fa sia successo

 

L’uomo non smette mai di aver bisogno del tempo, è avido di sapere il futuro ma si dimentica spesso il passato. Peggio ancora se il ricordo  di un brutto avvenimento si mantiene così tanto nel presente da farne un’ossessione.

Vi siete mai chiesti quante sfaccettature abbia il tempo? Quante sono le cose e i concetti a cui diamo questo nome?

C’è quello che scorre (chi di noi può fare a meno di un orologio), quello che ciclicamente si ripete (le stagioni), per non parlare delle previsioni meteorologiche (capaci di condizionare vacanze, lavoro, perfino il governo) delle previsioni fatalistiche (verrà il giorno…) o delle previsioni per una malattia (quanto tempo ci vorrà perché vada tutto a posto?) 

Eppure forse il tempo è una convenzione, qualcosa che gli uomini si sono dati per concertare gli appuntamenti, gli scambi commerciali (l’ora legale) e legislativi. Siamo così sicuri che il tempo esista veramente, che i giorni con numeri ripetitivi siano giorni eccezionali o che venerdì 17 porti sfortuna? Siete fra quelli che hanno paura di cosa potrebbe avvenire il 12.12.2012 alle ore12.12? Vorreste avere una statistica delle cose fortunate o sfortunate? In realtà anche quel giorno potrei prendere come riferimento la posizione del Sole per capire quando sarà mezzogiorno e contare i battiti del cuore per sapere se sono sempre qui sulla Terra oppure, se ho tempo da spendere, potrei aspettare il trascorrere delle stagioni nel giro dei successivi 365 giorni.

In questa ottica il tempo è una misura dell’ordine universale intorno all’uomo (il tempo assoluto di Newton, l’ordine delle successioni di Leibniz), anche se all’alba del XXI secolo sappiamo quanto il tempo sia dipendente dal sistema di riferimento in cui lo misuriamo, tanto da essere incluso in una dimensione spazio-temporale secondo Einstein.

Se il tempo della scienza è un tempo spaziale con caratteristiche di omogeneità e immobilità bisogna considerare anche un altro tempo, insito nelle sensazioni e nelle percezioni di ciascuno di noi, mobile e disomogeneo. Questo è il tempo della coscienza, in cui ciascuno ha un suo sistema di riferimento, che Agostino faceva risiedere nelle forme dell’anima “il presente del passato è la memoria, il presente del presente è l’intuizione, il presente del futuro è l’attesa”. Anche Aristotele, dopo aver dato una definizione del tempo come misura del movimento, si chiedeva se esso potesse esistere senza l’esistenza dell’anima, “se è vero che nella natura delle cose soltanto l’anima o l’intelletto che è nell’anima hanno la capacità di numerare, risulta impossibile l’esistenza del tempo senza quella dell’anima”. Vista in questi termini la nostra esistenza non scorre nel tempo, ma è il tempo che scorre entro la nostra esperienza di vita.

Il suo continuo scorrere lo fa sembrare inafferrabile, il passato non si può modificare, il futuro non si può prevedere, il presente è caratterizzato da una mobilità difficile da delimitare, perché è già passato nel momento stesso in cui l’ho pensato e perché si è manifestato in maniera diversa in tutte le persone della Terra che l’hanno vissuto in quel momento, tralasciando chi stava dormendo e quindi non era cosciente.

Non c’è modo allora di fermare il tempo nel tempo, ovvero di conciliare il tempo soggettivo con il tempo oggettivo? Forse sì, con una  modalità molto semplice da provare, ma molto difficile da spiegare: l’intuizione. Sia Agostino che Kant interpretano il tempo come una sorta di senso interno per rappresentare qualsiasi fenomeno (“forma a priori del senso interno” Kant), un modo che ci permetta di ordinare le sensazioni nell’esperienza. E’ forse attraverso l’intuizione che il passato si riflette nel futuro perché ci apre davanti una potenzialità infinita, la capacità di progettare propria dell’uomo (“l’esistenza dell’uomo è un progettare, ossia un anticipare possibilità, un protendersi verso il futuro: è dunque intrinsecamente tempo” Heidegger).

Dopo tanto peregrinare nel pensiero dei massimi filosofi alla fine scopriamo che l’uomo e il tempo potrebbero essere la stessa cosa, una sorta di quarta dimensione in cui l’uomo si ritrova e cerca di realizzare sé stesso. Forse perché il primo homo sapiens e l’ultimo bambino venuto al mondo un secondo fa sono essenzialmente la stessa cosa anche se sono passati centinaia di migliaia di anni. Il mondo intorno a lui è cambiato, le stimolazioni sensoriali e microbiologiche che pervengono al sistema nervoso e al sistema immunitario sono molteplici, ma inalterata è la sua capacità reattiva nei confronti dell’ambiente circostante.

Oggi quando una persona sta male da anni e la malattia non tende a risolversi chi diviene il principale imputato di questa situazione? Il tempo, quasi che un destino infame si fosse impossessato della vita di quella persona. Nella società di oggi c’è la fretta di star bene, di dimostrare agli altri di essere in salute a tutti i costi, c'è l’idea spasmodica che per tutti i mali del mondo sia possibile una guarigione immediata con interventi chirurgici o medicine dal potere inverosimile, con tecnologie così perfette da vedere se nel nostro organismo ci sia una singola cellula malata. Eppure se una singola cellula malata è già presente nessuna macchina e nessuna persona è in grado di predirlo. Forse non è neanche necessario cercare di prevederlo, perché l’organismo riuscirà ad eliminare quella cellula nel suo continuo processo di rinnovamento o magari quella cellula malata era necessaria perché l’organismo potesse combattere un domani quella malattia. Anche questa è una capacità reattiva che ci perviene dal primo homo sapiens.

E’ più utile pensare che possiamo controllare il nostro destino o che il destino controlli noi? O non è forse il momento di darci un po’ di …tempo per pensare? Secondo natura e secondo ragione. 

Luigi Giannachi, sceneggiatore e medico esperto in terapia del dolore (neurochirurgia ed agopuntura)




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L'accento di Socrate