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UN VECCHIO DILEMMA: ESSERE O AVERE


Cosa vi interessa di più?

Avere successo in brevissimo tempo o essere in grado di fare qualcosa?


Già una scelta di questo tipo pone davanti ad un bivio fra due strade che sembrano escludersi a vicenda. In fondo quella che chiamiamo intelligenza non è altro che una scelta continua fra varie possibilità, fra diverse strade che di volta in volta ci si presentano davanti. L’origine del termine ce lo fa intuire bene (inter-lego)

La scelta è determinante non solo per voi, ma per quello che gli altri significano per voi. Per avere velocemente successo basta trovare il modo per fregare gli altri o per usare gli altri a proprio vantaggio. Per essere in grado di fare qualcosa bisogna integrare modalità apprese quasi che fossero sempre state parti di noi stessi, partendo dal presupposto che nessuno è nato “imparato”.

Il lavoro da svolgere nel secondo caso è molto più difficile, senza alcuna garanzia di successo o di una retribuzione che sostenga un’autonomia economica (questo potrebbe smontare il più accanito sostenitore dell’essere…).

Per quanto mi riguarda mi sono spesso chiesto: qual è il modo migliore per imparare qualcosa? Uno sport, una lingua, un’arte, una tecnica, non tanto per provare le mie capacità, quanto per la dinamica della psicogenesi in esso contenuta. Nella domanda è già implicita una risposta: che vi sia un modo migliore degli altri, una via più veloce e più produttiva. Eppure l’esperienza ci ha insegnato negli anni che il faticoso procedere dell’apprendimento ha le sue tappe personali, da perseguire con pazienza e volontà, compresi gli errori, le invalidazioni percettive e le sfasature inattese, compresi i fastidiosi e pur necessari “passi indietro”.

Le raffigurazioni metaforiche della psicogenesi che porta l’individuo ad imparare qualcosa sono a mio parere quanto mai interessanti, perché concretizzano qualcosa difficile da raffigurarsi.

Piaget intendeva una costruzione dell’intelligenza nel bambino con un andamento lineare e cumulativo dai 2 ai10 anni come salire una scala in cui ogni gradino corrisponde ad un grande processo.

Serres proponeva una sorta di tempo che si appallottola come un fazzoletto in fondo ad una tasca per raffigurare lo sviluppo temporale delle scienze, in analogia allo sviluppo delle funzioni mentali, con le sue piegature, le sue accelerazioni, perfino i punti di arresto e le rotture.

Siegler propone di concepire lo sviluppo logico-matematico come una serie di onde che si cavalcano. Ogni strategia cognitiva è come un’onda che tende ad avvicinarsi alla riva: con l’esperienza e la situazione contingente il bambino impara a scegliere l’uno o l’altro modo di procedere.

Piaget affermava anche che a partire dall’età dell’adolescenza non si dovrebbero più fare errori di logica. Ma ciò è assurdo. È esperienza comune come gli adulti continuino a fare errori percettivi sistematici di fronte a compiti anche semplici. O. Houdé ha dimostrato come, a volte, una strategia cognitiva vincente nella maggior parte dei casi (la “scorciatoia”) possa in certi casi risultare inadeguata e debba essere quindi inibita al fine di potersi evolvere. Come dice C. Morel nel suo libro “Les decisions absurdes” “a volte sembrano riemergere processi di ragionamento quasi infantili, come se fossero rimasti nascosti nelle pieghe dello spirito, pronti a saltar fuori non appena viene sospesa l’inibizione che di solito li tiene a bada”. Ci sono tre modalità per riuscire a superare le strategie inadeguate: tramite l’esperienza personale riconsiderando i propri fallimenti, per imitazione e/o simulazione oppure seguendo le istruzioni di altri.

Se lo sviluppo dell’intelligenza non avviene in maniera lineare può essere in alternativa raffigurato attraverso simulazioni al computer come una serie di turbolenze, esplosioni, crolli, ricostruzioni alla stregua di un sistema dinamico non lineare, rappresentazione tipica procedurale degli organismi viventi. In questo senso la cognizione e il processo che porta i sistemi viventi estremamente adattativi a sopravvivere finiscono per equivalersi: per assurdo la cognizione potrebbe avvenire anche al di fuori di un sistema nervoso organizzato, in quanto finisce per essere l’interfaccia materiale che garantisce la relazione fra entità ed ambiente. Apprendimento e sviluppo sono due facce della stessa medaglia.

Secondo un’ ipotesi questo deriva dal comportamento collettivo di elementi autorganizzati collegati fra loro a formare un modello reticolare di organizzazione mantenuto nel tempo e capace di far fronte anche ai cambiamenti strutturali dei singoli elementi. È il concetto di autopoiesi sostenuto da Humberto Maturana e Francisco Varela. Le reti viventi sono contraddistinte dall’autogenerazione (autopoiesi) ed interagiscono con il proprio ambiente nel senso di scegliere quali stimoli a loro esterni siano preferibili. La vita è un atto cognitivo, essa ha bisogno di materia, energia e informazione.

Siamo partiti da un bivio, essere o avere, e siamo arrivati a sapere che la più piccola cellula che compone il nostro corpo fin dalla sua nascita ha già compiuto questa scelta in modo da sopravvivere e da soddisfare le esigenze dell’intero organismo pluricellulare a cui appartiene, mentre la cellula neoplastica nella sua anarchia metabolica è come se decidesse di avere senza preoccuparsi di come vada a finire il sistema di appartenenza.


Luigi Giannachi - sceneggiatore e medico esperto in terapia del dolore (neurochirurgia ed agopuntura)


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