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Elio Franzini: educazione all'immagine per andare oltre l'apparenza

e per recuperare gentilezza e grazia del '700


Elio Franzini è professore ordinario di Estetica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Milano. Dal 1 ottobre 2004 è preside della Facoltà di Lettere e Filosofia. Gli abbiamo chiesto come educarci all'immagine per apprezzare davvero le opere d'arte, per recuperare gentilezza, grazia e non solo



In una prospettiva fenomenologica, cosa significa lo studio dell'immagine?

In una prospettiva fenomenologica l’immagine è assolutamente essenziale, è quasi impossibile studiare l’immagine senza partire da una prospettiva fenomenologica. Questo in sintesi perché la prospettiva fenomenologica non è una prospettiva che intende spiegare i fenomeni, ma intende descriverli, quindi analizzare l’immagine è quasi la sintesi del metodo fenomenologico, metodo che Husserl stesso chiama della variazione immaginativa. Il metodo descrittivo è il metodo della variazione immaginativa: le cose non si danno nella loro interezza, si danno per prospezioni e quindi si danno girando intorno alle cose. Questo è il primo elemento metodologicamente essenziale, il secondo è che l’immagine è di per sé una struttura che si richiama alla fonte principale di ogni forma di conoscenza che è la percezione. Quindi l’immagine è essenziale dal punto di vista fenomenologico perché rinvia all’elemento fondamentale della conoscenza che è la percezione.

I suoi studi dove l’hanno condotta?

Mi hanno condotto ad analizzare il problema dell’immagine in tutta la sua centralità e come si può desumere da ciò che ho detto la centralità va su due direzioni: in primo luogo un’attenzione al fenomeno estetico dell’immagine, dell’immagine come modificazione della percezione e in secondo luogo un’indagine specifica che deriva dal primo filone dell’immagine come struttura di rinvio. Come struttura di rinvio mi piace chiamarla simbolo, quindi un’indagine su quelle che sono le fondamentali caratteristiche storiche, culturali, e genetiche di un’immagine simbolica, di un’immagine che non si limita a dire quel che rappresenta ma dietro il rappresentato c'è un orizzonte invisibile di riferimento. Quello che insegna la fenomenologia, qui parliamo e non si può vedere, non si può vedere l’esempio che faccio di solito: c’è sempre un retro delle cose che va visto ed analizzato, se noi guardiamo solo il davanti, il visibile, rischiamo di perdere tutto il senso al di là del visibile, oltre il visibile, che però possiamo scoprire solo attraverso il visibile. Questo è un punto d’orizzonte di ricerca che ho seguito da fenomenologo

Credo che l'educazione all'immagine non sia banalmente la contemplazione del bello. Contesto questa definizione. Cosa ne pensa?

La contesto con lei, contemplazione del bello non vuol dire niente. È un nonsense, prima bisognerebbe definire cos’è il bello e poi bisognerebbe cercare di capire l’evoluzione di questo concetto. Vedevo l’altro giorno in un museo dei bambini totalmente affascinati da dipinti di Kandinsky che in senso proprio belli non erano, ma le geometrie, i colori, le prospettive strane e rovesciate interessavano il bambino ben più di un cartone di Raffaello, per cui non avevano probabilmente gli strumenti necessari di comprensione. È evidente che l’educazione all’immagine deve essere educazione al contrario della bellezza, al contrario della varietà dell’immagine, molteplicità dell’immagine. Quindi l’immagine è uno strumento espressivo che deve mostrare le molteplicità di espressioni connesse al visibile e non a mostrare un concetto astratto e incomprensibile come quello di bellezza che per altro è un concetto estremamente vago e superato

Come si fa ad educare un bambino ad apprezzare l’arte?

Un bambino può essere educato in vari modi, ma soltanto ponendo in primo luogo l’immagine come mondo del gioco, quindi la nostra struttura di riferimento conoscitivo è una struttura mimetica che tende all’imitazione. Il primo interesse nei confronti dell’immagine è di carattere puramente imitativo, il bambino può essere trasportato nei confronti dell’immagine in primo luogo invitandolo ad imitare: questo è il suo primo istinto e non va sottovalutato. Poi un secondo aspetto che viene sottovalutato: l’immagine racconta storie che hanno un aspetto retorico espositivo. Va evidenziato l’aspetto narrativo

Capire cosa ci trasmette come narrazione e non solo come sensazione

E certo! Io ho visto, di fronte a degli oli di Carpaccio a Venezia della storia di San Gerolamo, una bambina di undici-dodici anni che veniva affascinata non dalla qualità del dipinto ma dalla storia che il dipinto raccontava, dall'evoluzione della storia, dalla spiegazione dei percorsi. Questo fissa l’immagine nella memoria ed è quell’elemento di fascinazione

Penso sia proprio questo che catturi i giovani

Prima di tutto l’aspetto mimetico, uno deve sapere quello che riproduce, poi l’aspetto di storia senza dimenticare là dove manca la storia, nella pittura non figurativa, che il bambino è affascinato dalla forma in sé, essere affascinato dalla forma in sé, dalle armonie di colori, dalla posazionalità dei rapporti intrinseci al dipinto è qualcosa che non va sottovalutato. Ricordiamoci che i bambini anche piccoli amano Paul Klee in un modo diretto ed immediato senza bisogno di spiegazione. Sottolineerei proprio questo: l’immagine è qualcosa che non deve essere spiegata, l’immagine è qualcosa che va in primo luogo vista e narrata. Forse volere spiegare il senso di un’immagine, cosa che a volte i critici d’arte fanno

È un abuso

Sì, è un abuso. Non è il suo campo, se vogliamo spiegare spieghiamo un trattato di filosofia. Anche se la frase di Rousseau che cito spesso “È più difficile educare gli occhi che le bocche”, fa comprendere come sia più difficile educare all’immagine che al linguaggio. Rousseau lo ricordava e non aveva certo incapacità pedagogica

Lei ha studiato il settecento, periodo fertile per l'arte pittorica e architettonica ed anche nel campo della scrittura. Cosa possiamo recuperare oggi di quella cultura attualizzandola per re-ingentilire la nostra cultura contemporanea?

Io del settecento recupererai tutto! Il settecento è un’epoca particolare, noi della storia conosciamo solo gli aspetti più nobili. Il settecento descritto da alcuni romanzieri inglesi del settecento dei Docks di Londra non è il settecento che siamo abituati a leggere in Voltaire e in Diderot. È evidente che il settecento è una società dalla quale dobbiamo recuperare alcuni elementi. Il primo è quello della razionalità, cioè non dimenticare che la forza della ragione e del libero arbitrio che è la capacità di decidere senza che nessuno decida per noi, direi che è un elemento fondamentale. Poi bisogna recuperare, dal punto di vista estetico, una dimensione fondamentale del ‘700 che è la grazia. La grazia, la Karis, che non è leziosità come è stata interpretata nel secolo successivo, ma la grazia è la capacità di vedere la bellezza non come una realtà statica ma come qualcosa che si muove e che può essere applica all’intera struttura sociale. Terzo aspetto è l’elemento che sembra dimenticato in particolare in Italia e non per fortuna in tutto il mondo: bisogna recuperare lo spirito delle leggi. Come diceva Monteshiou recuperare lo spirito delle leggi significa che le leggi ci sono e vanno rispettate, vanno condivise e questo spirito delle leggi è qualcosa di importante

Quando si è colpevoli bisogna accettare la punizione

E bisogna rispettare le regole! Io non amo particolarmente la cultura inglese ma una cosa che mi affascina della cultura inglese è il rispetto assoluto delle regole e se non sono rispettate subentra, senza violenza, immediatamente la punizione. La società inglese è una società dove ti credono sulla parola, nessuno oserebbe mettere in dubbio che quello che tu dici è falso, infatti è una civiltà senza carta d’identità perché l’identità è attestata dalla persona che la comunica. Quindi un po’ di settecentesco rispetto delle regole ci farebbe bene

Lei ci può indicare un’opera d’arte che possa ben identificare la grazia?

L’architettura palladiana: senza fronzoli, senza retaggi barocchi e rococò, quel senso di razionalità e di regola e al tempo stesso funzionalità, ordine non privo di sentimento. Credo sia questa la sintesi della grazia

Che rapporto c’è tra creazione artistica e passioni?

Senza passioni non ci sarebbe creazione artistica, cito sempre a questo proposito la frase che scrive Paul Valery nel suo Monsieur teste il quale inizia con queste parole “L’entusiasmo, questa stupida elettricità, imparate a farlo correre sui fili docili. La passione è fondamentale perché è la volontà di scoprire, la tensione verso la novità però va fatto correre su fili docili cioè va organizzato con metodo. Quindi ecco un altro retaggio settecentesco che dobbiamo prendere in grande considerazione. Fondamentale è l’elemento della passione, del sentimento non come pura dispersione, ma all’interno di una metodologia può condurre ad una dimensione evidentemente costruttiva. D’altra parte Kant definiva la fantasia come un’errabonda creatrice di sogni ma sosteneva che se governata con metodo avrebbe smesso di errare per concludersi in oggetti, in opere

Cosa pensa della filosofia pratica?

La filosofia è diventata nel corso del tempo molte cose diverse ed è chiaro che esistono molte tipologie di discorso filosofico, la tendenza degli ultimi vent’anni è di applicare alcuni sistemi e metodi del mondo filosofico ad attività della prassi, ad attività del quotidiano. Ciò ha portato a degli eccessi per cui il filosofo ha sostituito il prete o lo psicanalista a seconda delle tipologie di inchieste che vengono fatte, dall’altro lato si è semplicemente re-immessa nella sua tradizione. No?

Eh, sì

La sua tradizione è questa e a volte lo dimentichiamo. La filosofia è nata nell’agorà, nella piazza, è nata come filosofia assolutamente pratica. Uno degli errori più grandi che fanno coloro che voglio spiegare l’avvio del pensiero filosofico è dire che la filosofia è nata come interpretazione della natura: non è affatto vero Il concetto di natura è estraneo al mondo greco, ha perfettamente ragione Bernard quando afferma che la filosofia è nata nella polis quindi è nata nella città. Dice che è inconcepibile un’idea di filosofia che non sia civile nel senso di civis

Fuori quindi dal contesto sociale

Esattamente, non è concepibile

È indagine sulla natura

È indagine sulla natura! La filosofia, in epoche più recenti, ha avuto maggior fulgore quando è ritornata all’interno del civile, all’interno della polis, quindi all’interno della politica naturalmente non in senso partitico. È lì che la filosofia ha il suo sviluppo, deve essere uno strumento di comprensione e azione al tempo stesso

Bisogna comprendere chi hai di fronte, se ti trovi un paziente psicotico non lo puoi aiutare e lo mandi dallo psichiatra

Più o meno come fanno i medici. Capita al medico, se un paziente gli dice che ha mal di pancia e non ci sono riscontri oggettivi lo manda da qualcun altro.

Lei come docente avrà una bella casistica di giovani in difficoltà?

Una casistica quasi infinita! Purtroppo a volte ai giovani non si danno più i consigli giusti, nessuno lo fa più e mi metto anch’io di mezzo. A volte bisognerebbe capire come funzionano le cose del mondo, ma nessuno insegna più come funzionano

Penso che ciò nasca dall’atteggiamento di molti adulti che si pongono in modo paritario nei confronti dei ragazzi, non sei pari!

Non sei pari. Ormai c’è la paura da parte di chi insegna di sanzionare comportamenti privati: è diventata ossessiva. Il politicamente corretto è divento ossessivo. Le faccio un esempio banale. Ho avuto una bravissima laureanda con i capelli di quattro colori diversi, avrei dovuto dirle “Finché sei qui in questo mondo può andare bene, ma fuori di qui nella realtà del lavoro i quattro colori diversi non vanno bene: uno e il più possibile naturale”. Quindi nessuno adulto dice cos’è più il mondo nella sua complessità e varietà.

Maria Giovanna Farina




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