CHI SIAMO

INDICE/ARCHIVIO

REDAZIONE

CONTATTI








Ho intervistato Il professor Danilo De Rossi docente di Ingegneria dell’Informazione presso l’Università di Pisa per conoscere dalle sue parole il progetto a cui si è dedicato: la realizzazione di un robot denominato FACE (Facial automaton for conveying emotions) utile per interagire con i bambini autistici.



D. Professor De Rossi, quale funzione possiede il suo robot FACE per la cura dei soggetti autistici?


R. C’è una versione per la clinica, poi c’è quella più espansa che riguarda la ricerca ingegneristica. Quella che è in clinica adesso ha innanzitutto una funzione interattiva, il robot viene gestito da un’ingegnere. Il set-up terapeutico è fatto da una stanza dove c’è una scrivania, c’è questo robot da una parte poi il bambino o la bambina dall’altra parte della scrivania con una psicoterapeuta che controlla la sessione. Fondamentalmente quello che fa adesso è: attraverso le indicazioni della terapeuta l’ingegnere comanda tutta una serie di espressioni facciali, quelle tipiche di Paul Ekman ossia gioia, dolore, rabbia….

D. Le cosiddette primarie

R. Sì, in più alcune sfumature. Fondamentalmente le primarie. Allo stato attuale lavora il collo e la testa, il resto del corpo è passivo. C’è quindi un manichino antropomorfo, in aggiunta il sistema prevede altre cose. Attraverso gli occhi, ci sono delle piccole telecamere, il robot si concentra, fissa lo sguardo sulla faccia del bambino e riconosce alcune espressioni primarie. Il robot funge da interfaccia bidirezionale, cioè invia messaggi non verbali per ora solo espressioni facciali, e acquisisce da un lato le espressioni del paziente, in più il bambino indossa una maglietta e un cappellino sensorizzati. Forniscono al robot dei dati di tipo elettrofisiologico-emotivo: battito cardiaco, respiro, risposta elettrotermica come se fosse una macchina della verità. Questi si accompagnano alle immagini visive che fanno da correlato fisiologico-emotivo alle espressioni facciali acquisendo una cosa che per i medici è molto importante. Acquisiscono con il cappellino quello che in inglese si chiama GAZI che è il punto dove noi fissiamo lo sguardo, importante perché i bambini autistici guardano i volti con una traiettoria visiva diversa

D. In questo modo vengono catturate le risposte che altrimenti non sarebbero capite perché il bambino autistico sembra immune ad ogni stimolazione

R. E’ importante sottolineare che l’aspetto autistico è basso, c’è una selezione dei pazienti

D. Quindi non sono gravi?

R. Sono pazienti che hanno un certo livello di funzionalità, l’autistico totale non rientra in questo tipo di trattamento. Quella che stimo facendo è una ricerca ingegneristica perché la clinica è tutta da vedere, la clinica richiede anni di sperimentazione. Si tratta di validare un metodo che non c’è. Le ulteriori funzioni che stiamo per implementare sono tutte sul non verbale, come i sospiri da parte del robot, che accompagnano le espressioni, più alcune espressioni gestuali fatte dalle braccia. Stiamo progettando un braccio antropomorfo che accompagna la mimica facciale con gesti

D. E’ il futuro del suo lavoro?

R. Sì, ma è un futuro fattibile. Poi ci sono cose più complicate che stiamo vedendo a livello di cognizione artificiale, cioè stabilire un dialogo vero e proprio con poca mediazione, stabilire un anello tra il bambino ed il robot con reciproche indicazioni. Questa è una ricerca su lungo termine che faremo anche su soggetti normali

 D. C’è qualcosa in particolare che l’ha spinta ad intraprendere un simile progetto?

L’idea è nata qualche anno fa, è nata su stimoli ingegneristici. C’era un mio dottorando che era alla NASA a Pasadena in California (L’ex dottorando, attualmente ricercatore presso il Cnr di Pisa, è l’ing. Giovanni Pioggia). Siccome noi ci occupiamo ingegneristicamente di muscoli e pelle artificiale, abbiamo sviluppato insieme ad una persona molto in gamba David Hanson, lui a quel tempo lavorava alla Disney, poi se n’è andato. I nostri studi erano rivolti alla credibilità dell’artefatto, senza andare a Platone con la copia, e quindi vedere quanto si riesce a dare una credibilità anche perché il nostro cervello è molto specializzato sui volti. Volevamo giocare sull’ambiguo, vedo e non vedo, distinguo non distinguo, però solo su una base ingegneristica. Poi abbiamo migliorato e per una serie di motivi, perché noi qui a Pisa insegniamo ingegneria biomedica, siamo andati ad interrogarci sull’eventuale utilizzo di questa cosa al di là dell’aspetto puramente di ricerca ingegneristica ed è venuto fuori abbastanza ben chiaro il problema della comunicazione non verbale tra bambini autistici. Allora esistevano nel mondo alcuni sforzi fatti sull’uso di giocattoli, robottini, ma non di questo tipo. Erano robottini molto semplici, macchinine, c’era un grosso progetto che si chiama Aurora in Inghilterra, così ci siamo detti “Chi lo sa cosa possa fare un volto umanoide?”. Poi abbiamo contattato la Stella Maris di Pisa un centro che si occupa proprio del trattamento dei bambini autistici, da lì è nato il progetto.

D. Come mi ha raccontato la sperimentazione è lunga, ci vorrà del tempo per una buona casistica, ma qualche riscontro positivo si intravede già?

R. Sì, anche su queste cose devono parlare le statistiche, i grossi numeri. Però devo dire  che io non è che ci credessi poi tanto. Sono i neuropsichiatri e la psicoterapeuta a spingere, nel senso che i riscontri sono su numeri ridotti, parliamo di decine di casi, ho visto dei filmati

D. Cosa ha visto?

R. Cose toccanti come la mamma che piange perché il bambino non si era mai interessato così a qualcosa. Espressioni che i genitori hanno riscontrato, sono episodi che colpiscono l’osservatore ma da qui a dire che serva a qualcosa…

D. Però può dare un incentivo, chi segue questi bambini ha bisogno di sperare, c’è anche questa dimensione non trascurabile

R. Può darsi che serva, io non voglio essere negativo. Io devo stare su basi scientifiche. Direi di sì, qualche ragazzo ha delle reazioni veramente interessanti. Si nota una differenza nell’approccio tra bambini autistici e non

D. Il bambino autistico come reagisce?

R. Il bambino autistico è incuriosito, intrigato. Richiama l’attenzione, ciò che di solito non fa, va a guardare, chiede. Al contrario il bambino non autistico si spaventa. Ci sono segni inequivocabili, se poi serva alla terapia è tutto da vedere

D. I bambini autistici non discriminano il concreto dal simbolico, una figura umana “finta” può avere qualche implicazione di carattere etico?




R. C’è un comitato etico che da un parere, non si possono esporre bambini ad esperimenti se il comitato etico non dà un parere positivo. Ogni esperimento sul paziente ha il parere del comitato etico. Dal punto di vista normativo l’etica è rispettata. Se si parla di etica in senso più ampio, si tratta di vedere che la psicoterapeuta che è lì presente valuti in ogni istante e interrompa quando e come crede

D. C’è una domanda che non le hanno mai posto a cui vorrebbe rispondere?

R. In questo momento non mi viene. Io comunque mi pongo tante domande in generale

D. Questo significa essere filosofo

R. In parte sì, frequento molto l’ambiente filosofico ho insegnato a diversi corsi. Quindi mi pongo domande

D. Il filosofo si pone domande continuamente

R. Come ingegnere non mi pongo domande

D. Ma come persona si interroga?

R. Beh, ci mancherebbe altro

D. Guardi che non è da tutti

R. Sì, ma poi la smetto presto. Sono un ingegnere convinto e un dilettante di filosofia


 Maria Giovanna Farina



Torna indietro

L'accento di Socrate