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A PROPOSITO DI EROINE LETTERARIE parte II


A proposito delle eroine letterarie - Seconda puntata
L’antipatia delle eroine letterarie è storia…

Cleopatra VII. Figura storica tra mito e leggenda letteraria. Certamente la prima immagine che rimbalza nella testa nel novanta per cento dei casi (volendo essere buona per difetto) e dal 1963 in poi, è la perfezione della bellezza di una certa attrice dagli occhi viola che l’ha resa, si sono rese a vicenda, immortali.
Cleopatra : sentite come riempie la bocca ridondando, come obbliga a dirlo con espressione di enfatica meraviglia, senza sorridere, inchinandosi alla prorompente regalità. Indulge alla voglia di allungare la prima A per un tempo indefinito. Cleopaaaaaaaaa-tra, Antipaticissima sensazione. 
Cleopatra finge di non sapere che il suo nome significa "illustre per nobiltà di stirpe, che ha gloria grazie ai suoi antenati" e si fa vanto della bellezza, dell’intelligenza e del fatto che è una donna che conosce moltissime lingue, nel senso poliglotta. Ecco, di suo c’è solo la furbizia e l’avvenenza. Tra l’altro era pure figlia illegittima il che, per l’epoca, era abbastanza usuale ma per nulla confacente al ruolo.
E’ talmente convinta del suo fascino che non si fa remore a donarsi a Giulio Cesare avvolta nel prezioso tappeto che gli manda in dono. Chissà quanta polvere e quanti calzari lo avevano calpestato per renderlo così prezioso quel tappeto, si sa che l’uso li rende unici nel tempo.
Comunque Cleopatra era bella e scaltra anche senza i ritocchi del bisturi o del fotografo, a lei bastava fare il bagno quotidiano nel latte fornito da 700 asine ignare e sfruttate già nel 52 a.C., tant’è che oggi un litro del loro latte (di quelle attuali si intende!) si vende a 17 euro il che, per qualche ruga in meno, è una bazzecola. Strano che la nostra bella non abbia mai pensato ai diritti del marchio.
In conclusione, nonostante il mondo veda all’opera un numero infinito di Cleopatre di ogni natura, rango e ruolo contornate da Cesari e Marcantoni di ogni levatura ed elevatura, è, e rimane, figura pallosa, antipatica, meschina manipolatrice di veleni che propinava agli innocenti tanto per vedere l’effetto che fa e decidere quale veleno le fosse più congeniale per non rovinarsi la bellezza in mezzo alle contorsioni della morte per suicidio. Un buon mezzo per levarsi dalle scatole con effetto a sorpresa, portandosi dietro pure l’amante. Aspide!
No, decisamente non mi chiamo Cleopatra. E nemmeno Beatrice.
Beatrice (forse Portinari) tanto gentile e tanto onesta pare. Quella virgola mancante, proprio prima del pare, la direbbe forse troppo lunga o forse troppo palesemente sconosciuta e plagio. Si, un personaggio plagiato, copiato di sana pianta dal provenzale Raimbaut de Vaqueiras nel suo Kalenda Maya (il nostro storico «Calendimaggio») dedicato alla propria amata, tal Beatrice:
«Tant gent comensa, / Part totas gensa, /Na Beatritz, e pren creissensa / Vostra valensa;/Per ma credensa, / De pretz garnitz vostra tenensa /E de bels ditz, senes failhensa; / De faitz grazitz tenetz semensa;
«Tanto gentile sboccia, / per tutta la gente /Donna Beatrice, e cresce / il vostro valore;/di pregi ornate ciò che tenete / e di belle parole, senza falsità;/di nobili fatti avete il seme; 
Dante Dante…furbastro politicante e sommo vate. Ma tanto grande che è unico faro illuminante più sui mali del mondo infiniti che sulle possibilità di redenzione, anche se il suo Paradiso è quanto di più auspicabile vorremmo per nostra eternità. 
Non come Beatrice. E io voglio parlare di lei: ("colei che rende felici", "colei che dà beatitudine"). Provate a dirlo: Bea-tri-cee, le labbra si tirano all’insù, si allargano a un sorriso mentre gli occhi sembrano contemplare il cielo azzurro. Una figura eterea, spirituale, perfetta.
In Dante incarnava la bellezza, l’innocenza e l’amore ma, spesso, la Beatrice moderna si dimostra più pragmatica, desiderosa di avere successo nel lavoro e amante di tutte le occasioni più mondane. In questa veste Beatrice è molto terrena, reale, sanguigna figlia di Eva che ama il colore rosso così come viene raffigurata nell’incontro con Dante all’età di diciotto anni, e questo me la rende simpatica ed empatica.

Quello di cui Beatrice mai si è resa conto, è che esiste per la fantasia ossessiva del Sommo che, quasi novello stalker, scrive solo per idealizzare una donna d’angelica forma e angelico amore mentre lei non perde occasione per rimproverarlo e rimbrottarlo e quindi aizzarlo vieppiù. Tanto più quando lui, per non portarla sulla bocca di tutti, usa due donne “schermo” cui dedicare poesie e madrigali con somma ambiguità e goduria che Beatrice non apprezza arrivando per questo motivo a negargli perfino un misero ciao con la manina. 
E’ Dante stesso che incarna la “sua” Beatrice, ed è questo che me la rende antipatica nella grandezza del suo celestiale Amore, nel suo essere tramite per la redenzione e l’incontro dell’umanità con Dio.
Beatrice dimentica che è donna, il peccato peggiore che una donna possa commettere, perché una donna può essere molto più che un tramite inventato. Ma tutto questo Beatrice non lo sa, Dante se ne guarda bene dall’informarla, ne farebbe una santa redenta in odore di zolfo…
Beatrice! Svegliati, scendi dal carro, aggregati a sister Act e intona un inno alla gioia cantando le lodi a squarciagola… Ti vedrei però bene anche nel ruolo di Mirandolina dei tuoi tempi, simpatica, estroversa, aperta all’amore vero, spirituale e non.
No, non mi chiamo nemmeno Beatrice e un sospiro di sollievo mi allieta e predispone al riposo e,se vi ho annoiati, pazienza. Basta non leggermi fino alla prossima puntata.


Bruna Cicala (Dicembre 2018 - Tutti i diritti riservati©)





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