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La fondazione della morale dopo la “morte di Dio”


Nietzsche scrisse “… noi filosofi e spiriti liberi, alla notizia che il vecchio Dio è morto, ci sentiamo come illuminati dai raggi di una nuova aurora; finalmente possiamo di nuovo sciogliere le vele delle nostre navi, muovere incontro a ogni pericolo 1”.

In realtà la civiltà europea è stata evidentemente plasmata dal giudaismo e dal cristianesimo. In queste due religioni l’elemento fondamentale è rappresentato da un Essere supremo che è legislatore e sommo giudice: Dio è fonte della legge morale, all’interno del Decalogo da lui tramandato a Mosè sul Monte Sinai, ma anche giudice del bene e del male che l’uomo compie. Nel corso della storia questa concezione di Dio è stata messa in crisi da interrogativi sia teologici che filosofici. Il dibattito acceso dal luteranesimo e dal calvinismo sulla questione della giustificazione era rivolta a contestare l’assimilazione di Dio come giudice alla logica della remunerazione/punizione delle azioni che l’uomo compie nel corso della sua vita, per valorizzare invece l’azione della fede e della grazia. Il dibattito di Bayle sulla possibilità di un “ateismo virtuoso”2 stava a significare la possibilità di una indipendenza della morale da ogni autorità politica e religiosa, le uniche che sino ad allora potevano emanare canoni di rettitudine morale ben precisi. La possibilità di rendere la coscienza fonte dei valori morali presuppone almeno un paio di elementi:

1. la capacità che essa avrebbe di uscire da se stessa superando il punto di vista soggettivo ed

elaborando una capacità di giudizio indipendente dall’interesse personale;

2. la capacità (della coscienza) di instaurare una comunicazione e una condivisione emotiva

delle esigenze del prossimo, per poterne avvertire i bisogni e realizzare così un’azione etica che venga incontro all’uomo.

Tali possibilità sono garantite nella visione cristiana dall’azione della fede. E’ quest’ultima che permette alla conoscenza di essere sostenuta superando i limiti della ragione dalla condizione limitata dell’essere umano, e d’altro canto ci accomuna ai nostri consimili (il prossimo) in uno spazio di socialità (la chiesa) sostanzialmente contrario ad una condizione di conflittualità primigenia.

Eppure il pensiero contemporaneo ha messo in dubbio le capacità dell’uomo di superare una visione soggettiva della vita per conseguire una verità oggettiva, come anche che ci sa un Essere supremo a cui fare riferimento. Tale concezione di pensiero ha portato, probabilmente, ad una notevole mutamento in campo politico-sociale: se Dio non esiste tutto è permesso?

Il processo di secolarizzazione.

Il concetto di secolarizzazione indica il processo per cui le proprietà ecclesiastiche venivano trasformate in dominio pubblico o messe all’asta tra privati. Questo processo (giuridico) ha portato un senso di spoliazione della tradizione cristiana da parte delle forze laiche nell’intera tradizione culturale europea.

Alcuni esempi dell’interpretazione della cultura moderna intesa come esito del processo di

secolarizzazione sono stati:

- escatologia: i conflitti sociali come una conseguenza di una lotta fra classi;

- attributo dell’infinità divina: l’idea di infinità del progresso scientifico e sociale

attraverso il tempo;

- cristologia: come Dio è tale quando si fa uomo, così l’uomo è miracolo del creato,copula mundi, caratteristica del pensiero neoplatonico rinascimentale, divenendo una reinterpretazione antropocentrica della tematica cristologica;

Possiamo chiederci su quali fondamenti poggi la comprensione contemporanea dell’essere umano e della storia in un contesto in cui la teoria idealistica (secondo cui lo spirito storico è in grado di riassumere in sé il senso della storia, assumendo di diritto il posto di Dio) non gode più di molto successo. Contro l'auto-interpretazione della cultura moderna come eredità del cristianesimo hanno dibattuto filosofi come Kierkegaard3, che negò che il senso autentico del cristianesimo potesse consistere nel farsi fondamento del legame politico dello Stato nazionale e della comunità civile, e Stirner, il quale criticò una concezione – secondo lui – fuorviante dei bisogni umani, optando per una nuova interpretazione dell’uomo svincolata da presupposti teologici: “ … gli atei…non si accorgono che distruggono il vecchio essere superiore solo perché sentono l’esigenza di uno nuovo a cui far posto… L’uomo oltrepassa ogni singolo uomo e benché venga ritenuto la “sua essenza” in realtà non è affatto la sua essenza la quale sarebbe, se mai, unica come lui, il singolo stesso, ma è invece un essere generale e “superiore”, anzi per gli atei è l’”Essere supremo4”.

In tale polemica verso l’ateismo della sinistra hegeliana, Stirner evidenzia la loro indipendenza da una concezione teologizzante che assume come nuovo Dio l’uomo stesso.

Secolarizzazione e morte di Dio.

Nietzsche annuncia la distruzione di ogni fondamento trascendente dei valori morali dell’umanità occidentale garantiti fino a quel momento in modo universale da istanze assolute (Dio, il bene, il dovere, la verità, etc…). Il filosofo del nichilismo riassume questa concezione della vita e della storia nella frase “Dio è morto” con cui diventerà celebre nel panorama filosofico mondiale. Ne La Gaia scienza Nietzsche scrive “ … quella fede cristiana che era anche la fede di Platone, per cui Dio è verità e la verità è divina…ma come è possibile, se proprio questo diventa sempre più incredibile, se niente si rivela più divino salvo l’errore, la cecità, la menzogna, se Dio stesso si rivela come la nostra più lunga menzogna?5”.

Il nichilismo.

Com’è noto nella cultura europea novecentesca la morte del fondamento trascendente, prende il nome di nichilismo. Il primo a utilizzare tale accezione non fu Nietzsche ma il filosofo Jacobi, che identificò come nichilista l’idealismo speculativo in quanto annullava la realtà indipendente del mondo, facendone una funzione della coscienza. In tal modo svanisce Dio e la realtà, infatti per chi non vede Dio “la natura non ha volto”, essa è una cosa misera, priva di ragione, di cuore e di volontà, un nulla che partendo dal nulla forma all’infinito, una dopo l’altra, un’orrenda notte che partorisce per l’eternità, apparenza e ombra soltanto, e, quando albeggia, morte e distruzione, delitto e menzogna6”.

Se Jacobi affronta tali tematiche a partire da un’ottica religiosa, Nietzsche come anche Stirner denunciano il rischio che l’uomo diventi inconsapevole del suo nichilismo, visto come gesto innovativo e liberatorio. Il singolo che si libera dagli “idoli”, non deve ricadere in presunti valori assoluti. Nessun valore è assoluto, ma tutti sono transitori. Per Nietzsche la laicizzazione culturale deve portare una nuova fondazione del mondo, come anche una nuova etica politica.

L’esistenzialismo ha approfondito ulteriormente la questione nichilista, nel periodo a cavallo tra le due guerre mondiali. Autori come Sartre e Camus però, al contrario di filosofi quali Nietzsche e Stirner, i quali rilevano le potenzialità creative e gioiose di un individualismo libero dall’idea di trascendenza, hanno una visione fondamentalmente tragica. Per Sartre “ è necessario, perché ci sia una morale, una società, un mondo civile, che certi valori siano presi sul serio perché esistenti a priori… niente muterà se Dio non esiste; ritroveremo le stesse norme di onestà e di progresso … l’uomo è condannato a essere libero7”.

Sartre fonda l’assoluta indipendenza della condizione umana da Dio, rilevando altresì le conseguenze della fine della fede in Dio, sottolineando la libertà come carattere di fondo dell’essere umano. Ne sorge una creatura (l’uomo) incapace di liberarsi dall’idea di Dio se non con l’ ”estremo sacrificio” del suicidio, affidandosi al celebre passo dei “Demoni” di Dostoevskij8: l’uomo si dimostra completamente padrone della propria vita solo vanificando l’idea di Dio, e afferma la propria indipendenza disponendo della propria stessa esistenza tramite l’ ”atto finale”.

Camus ha la medesima impostazione concettuale di Sartre, ma parte dall’asserto che il mondo sia assurdo, in quanto nessun aspetto del reale soddisfa la nostra esigenza di valore e di significato. Nulla ci soddisfa completamente. Ecco che il suicidio rimane l’unica strada percorribile per l’uomo. Qui tuttavia il suicidio viene distinto in quello fisico, ossia conosciuto generalmente come tale, e quello filosofico, che si attua per mezzo dell’abbandono alla fede9”.

Tuttavia per entrambi i pensatori l’assurdità della vita non significa la mancanza di un fondamento morale. Se non un’etica ottimistica, l’uomo può almeno contare su un’etica al pensiero che, anche nel supplizio esistenziale, l’uomo possa sentirsi felice.

E’ possibile un’etica non secolarizzata?

La possibilità di una fondazione dell’etica indipendente da valori secolarizzati è stata sostenuta da vari pensatori, tra i quali Hans Blumenberg ne La legittimità dell’età moderna (1974)10, nel quale lo scrittore afferma che l’idea stessa di un’etica non secolarizzata non è altro che il tentativo dei moderni di mantenersi in contatto con la propria storia di radice giudaico-cristiana, per non accettare la nuova condizione laica. Ma quali nuove strategie sono state elaborate a partire da quest’ottica?

Essenzialmente quattro:

- l’etica utilitarista11, basata sull’individualismo e con il fine della felicità. Ci viene alla mente John Stuart Mill e la scuola psicoanalista freudiana. Centrale in questo impianto di pensiero è la liberazione delle forze creative della personalità, verso una realizzazione equilibrata del benessere psichico della persona. Tale etica assume un carattere fortemente immanentistico, risultando estranea alla logica della secolarizzazione;

- l’etica razionalista12, basata sulla responsabilità. Ricordo Max Weber e Hans Jonas. Questo impianto etico vuole riempire lo spazio lasciato libero dagli scomparsi valori teologici, configurandosi sullo sfondo della crisi della modernità, e con minore fiducia verso l’uso della ragione come fine del raggiungimento della felicità individuale;

- l’etica esistenzialista13, basata sul concetto di scelta, prima ancora su quello di emozionalità, fra cui evidenzio il lavoro di Sartre e Nietzsche. Tale etica si incentra sull’individuo e sul presente, in particolare sulla concretezza delle singole situazioni, ma caratterizzata altresì da un forte elemento tragico di radice ellenica nei riguardi della condizione umana, e una forte critica verso il mondo romantico ed emotivista14. Essa è molto critica nei confronti di qualsivoglia tipo di trascendenza. L’uomo torna ad essere l’unico possibile artefice del suo destino, per quanto vincolato dall’elemento essenzialmente tragico dell’intera esistenza;

- l’etica empirista15, basata sulle emozioni, che riguarda filosofi quali Schopenhauer, Moore e alcuni pensatori anglosassoni contemporanei. L’etica “delle emozioni” appare fondata sulla comunanza dei sentimenti, fondanti la società umana, nonché della sua natura di “animale gregario”.

Scrive Bernard Williams che “ quando si discute di educazione morale, si cerca di inculcare dei principi…ma se consideriamo la cosa in termini generali, il nostro compito, come aveva indicato Aristotele, non è tanto quello di inculcare dei principi quanto quello di educare alle emozioni16 “.

Conclusioni.

Considerando tale modello etico-analitico, concreto e situazionale, ci sovviene la necessità di educare e di accogliere il prossimo senza pregiudizi, lasciandoci coinvolgere da quelle emozioni universalmente umane che nascono dall’esperienza dell‘empatia. E’ questo, forse, il primo messaggio del cristianesimo, un messaggio cosi umano che anche le morali più distanti dalla secolarizzazione, anche le più antropocentriche, non possono far a meno di ereditare implicitamente da tale teologia.

Danilo Campanella


NOTE al testo:

1 Si veda F. Nietzsche, La gaia scienza, Newton Compton 2008.

2 Vorrei vedere un uomo sobrio, moderato, casto, giusto, affermare che non c'è alcun Dio: se non altro parlerebbe

contro il proprio interesse; ma quest'uomo non esiste”, La Bruyère, 1688, "Des Esprits forts", p. 452, n. 11).

3 Si veda Discorsi cristiani, (Christelige Taler 1948), tr. parziale Dino T. Donadoni (Borla Editore, Roma 1963.

4 AA.VV., Diàlogos, Il processo di secolarizzazione e i suoi critici, Mondadori, Torino 2000, p. 88.

5 Si veda F. Nietzsche, La gaia scienza, Newton Compton 2008.

6 Si veda F. H. Jacobi, Le cose divine (1811) Trad. it. di N. Bobbio e G. Sansonetti, Rosenberg & Sellier, Torino 1999.

7 Si veda Jean-Paul Sartre, L’Essere e il nulla, Il Saggiatore, 2007 .

8 Si veda Fëdor Dostoevskij, I demoni, Bompiani 2009.

9 Si veda Arnaud Corbic Albert Camus e Dietrich Bonhoeffer, Due visioni dell' uomo “ senza Dio” a confronto,

Edizioni Messaggero, Padova 2011,

10 Si veda H. Blumenberg, La legittimità dell’età moderna, Marinetti 1992.

11 Interessanti sono gli studi svolti dalla International Society for Utilitarian Studies (ISUS) che offre un forum di

dibattito e di ricerca sull'utilitarismo e i suoi sviluppi storici, nonché sulla sua attuale rilevanza in campi

come l'etica, la politica, il diritto, l'economia e le politiche pubbliche. L'ISUS pubblica anche la rivista Utilitas,

una rivista internazionale di punta che ospita ricerche originali su tutti gli aspetti della teoria utilitaristica e

attraversa le discipline della filosofia morale, dell'economia, della psicologia, della teoria politica, della storia

delle idee politiche, economiche e sociali, del diritto e della giurisprudenza.

12 Interessante lo studio di Eugenio Lecaldano, in Un’etica senza Dio, Laterza 2006.

13 Si veda Luigi Stefanini, Esistenzialismo ateo ed esistenzialismo teistico, Cedam, 1952.

14 La Chiesa Cattolica, e prima di essa ogni culto antico, dominò tutto il campo dei mezzi coi quali l’uomo viene

messo in stati d’animo inusitati e strappato al freddo calcolo del vantaggio…ma i risultati di tutto ciò non si sono

tuttavia perduti: il mondo interiore degli stati d’animo sublimi, commossi, pieni di presentimenti, di profonda contrizione e di beata speranza, è stato ingenerato negli uomini principalmente dal culto; ciò che ora di esso esiste

nell’anima fu coltivato allora”. F. Nietzsche, Umano, troppo umano.

15 Si vedano Giovanni Baffetti, Retorica e scienza. Cultura gesuitica e Seicento italiano, CLUEB, 1997 e Renato

Testa, Dall'attualismo all'empirismo assoluto. La scuola romana di filosofia, Cadmo, 1976.

16 Si veda La Moralità. Un'introduzione all'etica, (Morality:An Introduction to Ethics, 1972), trad. M. Reichlin, Einaudi, 2000.


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