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Non so se l'ho sognato oppure fosse un vero squillo di cellulare. Risposi e una voce ferma che non era la sua: "Hai voluto comportanti senza ritegno. Hai voluto dire parole per fare del male. Hai voluto dire.". Non ricordo se fossi immersa in un sogno o nel reale so che riattaccai. Certo avevo detto ciò che pensavo a fronte di definitive promesse mancate. Sapere che avrei cambiato vita per un amore era l'insperato sogno a cui non avevo mai creduto e su cui invece nei fatti aveva sempre insistito come se io fossi folle nel non credere. Poi nell'arco di quel breve tempo di bellezza e di ossimori, costruito sull'illusione, la confusione e l'onnivoro. Il cambio d'intenti improvvisi, quando tutto sembrava apparentemente certo. Un fibrillare di emozioni e di repentini dubbi sino alla sostanza visibile. Discussioni e silenzio, devastazioni reciproche in reciproche depressioni, perdendo cognizione di tempo, di strade e ormai dis-afferrati nel ferro che comprime. Poi prima dell'assurdo, una telefonata: "Come stai. Ci vediamo, beh ora dopo la separazione sto con una persona, non sono innamorato, ma mi trovo bene. Sai lei mi dà pure il bancomat e pur nel mio disagio lei mi è grata perché sto con lei". Oltre al gelo, la consapevolezza. La reazione del non silenzio che non serve a nulla, ma che vuole proteggere il mio genere e il devastante sottolineato dall'infantile bisogno di madre, nell'immatura dipendenza che crea solitudine e bisogno nell'opportunismo. Sì sbagliando e forse assolutamente sbagliando, dire e comunicare l'inutile ove l'egoismo quasi inconsapevole d'immaturità gioca con la sensibilità altrui. E poi il sogno, avrà mai chiamato per infliggere il già inflitto. Rimane l'ennesimo dubbio forse ho sognato e se non ho sognato, nulla cambia tra parole e silenzi, tutto serve a vivere dentro ed altrove.


Silvia Calzolari, poetessa e collaboratrice dell'associazione L'accento di Socrate


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